La storia del Giappone In origine l’insieme di isolette, oggi denominato Giappone, era popolato da tribù di razza bianca chiamata Ainu, che lavorava le ceramiche jomon (ceramiche cordate). Poi con le navigazioni arrivarono uomini gialli, cinesi e coreani che portarono il ferro e l’agricoltura e lavoravano ceramiche yayoi (ceramiche a tornio). Più tardi dal sud provenne un’altra razza, la Yamato che, più evoluta anche militarmente, iniziò sotto la guida del leggendario Jimmu Tenno, il primo Imperatore, la conquista delle isole. Non volendo però distruggere ma sottomettere le popolazioni per poi creare uno stato unito, ricorsero spesso alle cosiddette ‘prove di forza” (Chikara-Kurabe) dove un campione Yamato si scontrava con un campione locale a mani nude fino alla morte: chi perdeva si sottometteva (si ricorda il famoso lottatore Nomi-no-Sakune). Questa usanza rimase anche dopo l’unificazione e portò alla formazione di una classe di lottatori professionisti. Con il progressivo costituirsi di una precisa struttura sociale si ebbe un processo di codificazione della lotta che portò alla nascita del Sumo che, insensibile al trascorrere dei secoli, ha fatto giungere fino a noi una millenaria tradizione. I secoli di guerra che sconvolsero il Giappone fino allo Shogunato Tokugawa (Shogun era il capo militare dell’Impero che in pratica deteneva il potere) portarono alla formazione di una classe di guerrieri di professione, i Samurai, nella cui formazione era prevista una forma di difesa a mani nude, il cui insegnamento rimase gelosamente custodito nella ristretta cerchia dei vari clan guerrieri. Lo Shogun Tokugawa fu il primo che riuscì a riunire sotto di sé i vari feudi garantendo, con una formidabile polizia segreta, un lungo periodo di pace, A seguito di ciò migliaia di guerrieri si trovarono senza lavoro. È l’epoca in cui diventa massiccia la presenza dei Ronin, Samurai senza padrone, che vagano senza meta e senza scopo per il paese; uno spaccato fedele e suggestivo di questo periodo di disagio sociale si può ritrovare in alcuni films del celebre regista A. Kurosawa come “I sette Samurai”, “Yojimbo” e ” Rashomon”. Molti di questi Ronin si dettero al banditismo, altri cercarono di inserirsi nel nuovo contesto sociale aprendo scuole in cui insegnare i loro metodi di difesa. Si può definire questa l’epoca d’oro del Ju Jitsu, che viene diffuso sotto una dozzina di nomi diversi: Yawara, Tai Jutsu, Wa Jitsu, Torite, Kogusoku, Kempo, Hakuda, Kumiuchi, Shubaku, Koshi no Mawari etc. Fioriscono numerose scuole che differivano tra loro per i metodi ma che si rifacevano per lo più ai concetti esposti in un antico libro di strategia che fu la guida dei soldati giapponesi in epoca feudale dal titolo “La forza sta nell’agilità”. Poi il declino. Nel 1853 l’America costringe il Giappone ad aprire le porte all’Occidente (con le famose navi nere del Commodore Perry). Nel 1868 la restaurazione Meiji esautora completamente la classe militare ed un editto imperiale proibisce ai Samurai di portare la spada in pubblico. 2 Una vera e propria rivoluzione sociale sconvolse il paese che si rivolse all’Occidente avido di novità. In questa affannosa corsa alla modernizzazione si dimenticarono le vecchie arti ed il Ju Jitsu non fece eccezione: prive del supporto economico dei grandi Clan le scuole cominciarono a scomparire e molti validi insegnanti si cercarono un altro impiego. Altre scuole per poter sopravvivere cominciarono ad esibirsi come circensi; se a questo si aggiunge che in alcune scuole si indulgeva spesso in tecniche pericolose e si lasciava che gli allievi più anziani maltrattassero i novizi, si può facilmente capire come, nella seconda metà dell’800 l’immagine sociale del Ji Jitsu fosse completamente screditata. È in questo periodo che compare la figura di un giovane professore universitario, Jigoro Kano. – Tratto dalle dispense dell’Area Discipline Orientali settore Judo –

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